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Dialogo fra i redattori

Dialogo fra i redattori Luca Fiorini e Marco Filippin in merito alla partecipazione.

Che cos’è per voi la partecipazione sociale?

L: Dal mio punto di vista “partecipazione” è fare qualcosa che renda migliore l’ambiente in

cui si vive, e non solo per se stessi e per i propri cari: lo ritengo un vero e proprio dovere.

Ciascuno dovrebbe contribuire al progresso della propria società, rendendola migliore per le

generazioni future. La partecipazione, dunque, ha sia un lato egoistico sia uno

altruistico.

M: Per me la partecipazione è un modo per migliorare il posto in cui si vive, non solo

per gli altri, ma anche per me stesso. Ci si potrebbe chiudere in se stessi per coltivare

solamente la propria vita privata, rendendola magari migliore di quello che sarebbe

stata se avessimo partecipato, ma ciò non lascerebbe alcun segno del nostro passaggio

in questo mondo. Già viviamo su una piccola roccia nel vuoto cosmico, cosa

saremmo senza lasciare un segno neanche su quella? E inoltre la natura umana è di

per sé condivisione. Di certo non saremmo arrivati fino a dove siamo ora se fossimo

stati tutti egoisti.

L: Non sono d’accordo. Qualcuno potrebbe contribuire alla propria società solo per

fini egoistici, ricercando fama o guadagno. Un uomo potrebbe, per esempio,

inventare un reattore nucleare a fusione, risolvendo i problemi energetici

dell’umanità, solo per averne un ritorno economico. Questo individuo lascerebbe

eccome il segno del proprio passaggio, pur essendo stato animato da intenti tutt’altro

che altruistici.

M: È vero, ma è raro che questo tipo di partecipazione portino a miglioramenti di tipo

non materiale. Questi ultimi sono sì importanti, ma non portano veramente progresso,

che non può esistere senza una qualche evoluzione di cose più “astratte”, come il

pensiero politico, ma anche l’etica, la giustizia… Inoltre mi pare ovvio che una

persona faccia meglio qualcosa, anche materiale, se ben motivata e spinta da ideali

più alti della semplice auto-conservazione.

L: Hai ragione; d’altra parte, la moralità si giudica anche sulla base delle intenzioni,

non sono a partire dai risultati, dunque non posso certamente ritenere lodevole

l’operato di questo ipotetico genere di persona.

Bisognerebbe chiedersi, comunque, come mai oggigiorno si assista ad una così

diffusa mancanza di partecipazione sociale.

M: Penso che uno dei motivi principali di questa mancanza, se non il più importante,

sia il benessere sociale: la partecipazione è molto frequente e diffusa in tempi di dura

crisi, quando la qualità di vita delle persone è fortemente compromessa (pensiamo

alle condizioni di nascita di qualsiasi rivoluzione che ci venga in mente). L’egoismo

ha spazio per crescere solamente con la stabilità e il benessere, che crescendo, quindi,

porterebbero ad una crescita quasi automatica degli “egoisti” (o non-partecipanti).

L: Secondo me dipende anche dal fatto che viviamo in un’epoca di disincanto

politico. Visto come volge la politica soprattutto italiana, ricca di personaggi

inaffidabili e promesse infrante, è normale che il cittadino medio si senta deluso e ciò

potrebbe portarlo a ritenere inutile la propria personale iniziativa, spingendosi in tal

modo all’inerzia. Di questo passo, la situazione non può migliorare.

M: Concordo per ciò che concerne il disincanto, ma non penso che le persone si

lamentino della loro impotenza come singoli, bensì che si ritengano impotenti sotto

ogni punto di vista, come singoli o in gruppo, e che quindi tendano a rimanere inerti.

Ognuno pensa che tutti i politici siano corrotti/falsi, quindi la partecipazione sia

ininfluente in qualsiasi caso, quindi tanto vale non curarsene. Tutto questo resta

subordinato alla capacità di condurre comunque in modo abbastanza soddisfacente L:

In questo fenomeno avverto la puzza del circolo vizioso: più la situazione peggiora,

più le persone tendono a ritenersi impotenti, dando impulso a quella loro passività

che rende i miglioramenti molto ardui. Da questa prospettiva, solo due eventi

potrebbero rompere questo fenomeno di feedback negativo: o un improvviso e

radicale peggioramento che esasperi la gente a tal punto da rendere l’inerzia

impossibile, o una generale e progressiva presa di coscienza che la sospinga a

comprendere che il cambiamento che essa vuole deve partire da se stessa.

M: Concordo, ma è più probabile che le persone si attivino solo una volta toccato il

fondo. Ritengo molto poco probabile la realizzazione di una "generale presa di

coscienza", poiché si tende sempre a pensare solamente al proprio tornaconto (o a

quello di un gruppo ristretto come la famiglia), cercando di tirare avanti rimandando

l'inevitabile. Si tende a rimanere il più stabili possibili finché è possibile. Il

cambiamento spaventa, e stanca. Per partecipare in massa ci deve essere un motivo

molto forte, altrimenti molto pochi si sentiranno spinti ad agire. Per partecipare senza

questo motivo ci vorrebbe un ribaltamento collettivo e subitaneo di mentalità. Certo,

tutto è possibile, ma in questo caso molto poco probabile, nonché difficile e lontano.

L: Mi vedo obbligato a darti ragione, ma vorrei aggiungere qualcosa. Credo che,

rovesciando il piano sul quale abbiamo finora discusso, sia possibile che un clima di

partecipazione nasca anche da una situazione sociale florida e fiorente: questa

potrebbe instillare nelle persone fiducia nel cambiamento, rendendole inclini a

parteciparvi. Devo riconoscere, tuttavia, che questa è un’idea utopica: nella situazione

attuale è molto più probabile uno dei due fenomeni di cui abbiamo appena parlato.

M: A questo punto l'unica linea d'azione che ci resta da seguire sarebbe cercare di

capire dov'è il fondo, e magari prepararci al tonfo, cercando forse di attenuarlo. Ma

quale sarà? La caduta dell'UE? Un'altra crisi economica come quella del 2008? Una

guerra con il medio-oriente? Una chiusura totale dovuta al sempre più grande

successo delle destre estreme? Quale sarà il fondo? Perlomeno ci sono tanti modi di

cadere.

L: Un’altra strada, però, potrebbe essere l’esempio: la gente, vedendo poche persone

industriarsi per il miglioramento della società, potrebbe comprendere che un

cambiamento che parta dal basso è possibile, e dunque decidere di attivarsi…

Sì, ritengo che la sensibilizzazione e l’esempio possano decisamente considerarsi

plausibili punti di partenza.

M: È possibile, ma sento troppo forte la spinta verso il proprio orticello. Certamente

poi è sempre meglio provarci il più possibile, perlomeno potremmo attutire l’urto. Poi

chissà, magari la crisi sarà scatenata da un catastrofico sconvolgimento del clima

dovuto al riscaldamento globale e avremmo ipotizzato per nulla.

Vedremo chi avrà ragione.


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