Dialogo fra i redattori
- Marco Filippin & Luca Fiorini
- 3 mag 2017
- Tempo di lettura: 4 min
Dialogo fra i redattori Luca Fiorini e Marco Filippin in merito alla partecipazione.
Che cos’è per voi la partecipazione sociale?
L: Dal mio punto di vista “partecipazione” è fare qualcosa che renda migliore l’ambiente in
cui si vive, e non solo per se stessi e per i propri cari: lo ritengo un vero e proprio dovere.
Ciascuno dovrebbe contribuire al progresso della propria società, rendendola migliore per le
generazioni future. La partecipazione, dunque, ha sia un lato egoistico sia uno
altruistico.
M: Per me la partecipazione è un modo per migliorare il posto in cui si vive, non solo
per gli altri, ma anche per me stesso. Ci si potrebbe chiudere in se stessi per coltivare
solamente la propria vita privata, rendendola magari migliore di quello che sarebbe
stata se avessimo partecipato, ma ciò non lascerebbe alcun segno del nostro passaggio
in questo mondo. Già viviamo su una piccola roccia nel vuoto cosmico, cosa
saremmo senza lasciare un segno neanche su quella? E inoltre la natura umana è di
per sé condivisione. Di certo non saremmo arrivati fino a dove siamo ora se fossimo
stati tutti egoisti.
L: Non sono d’accordo. Qualcuno potrebbe contribuire alla propria società solo per
fini egoistici, ricercando fama o guadagno. Un uomo potrebbe, per esempio,
inventare un reattore nucleare a fusione, risolvendo i problemi energetici
dell’umanità, solo per averne un ritorno economico. Questo individuo lascerebbe
eccome il segno del proprio passaggio, pur essendo stato animato da intenti tutt’altro
che altruistici.
M: È vero, ma è raro che questo tipo di partecipazione portino a miglioramenti di tipo
non materiale. Questi ultimi sono sì importanti, ma non portano veramente progresso,
che non può esistere senza una qualche evoluzione di cose più “astratte”, come il
pensiero politico, ma anche l’etica, la giustizia… Inoltre mi pare ovvio che una
persona faccia meglio qualcosa, anche materiale, se ben motivata e spinta da ideali
più alti della semplice auto-conservazione.
L: Hai ragione; d’altra parte, la moralità si giudica anche sulla base delle intenzioni,
non sono a partire dai risultati, dunque non posso certamente ritenere lodevole
l’operato di questo ipotetico genere di persona.
Bisognerebbe chiedersi, comunque, come mai oggigiorno si assista ad una così
diffusa mancanza di partecipazione sociale.
M: Penso che uno dei motivi principali di questa mancanza, se non il più importante,
sia il benessere sociale: la partecipazione è molto frequente e diffusa in tempi di dura
crisi, quando la qualità di vita delle persone è fortemente compromessa (pensiamo
alle condizioni di nascita di qualsiasi rivoluzione che ci venga in mente). L’egoismo
ha spazio per crescere solamente con la stabilità e il benessere, che crescendo, quindi,
porterebbero ad una crescita quasi automatica degli “egoisti” (o non-partecipanti).
L: Secondo me dipende anche dal fatto che viviamo in un’epoca di disincanto
politico. Visto come volge la politica soprattutto italiana, ricca di personaggi
inaffidabili e promesse infrante, è normale che il cittadino medio si senta deluso e ciò
potrebbe portarlo a ritenere inutile la propria personale iniziativa, spingendosi in tal
modo all’inerzia. Di questo passo, la situazione non può migliorare.
M: Concordo per ciò che concerne il disincanto, ma non penso che le persone si
lamentino della loro impotenza come singoli, bensì che si ritengano impotenti sotto
ogni punto di vista, come singoli o in gruppo, e che quindi tendano a rimanere inerti.
Ognuno pensa che tutti i politici siano corrotti/falsi, quindi la partecipazione sia
ininfluente in qualsiasi caso, quindi tanto vale non curarsene. Tutto questo resta
subordinato alla capacità di condurre comunque in modo abbastanza soddisfacente L:
In questo fenomeno avverto la puzza del circolo vizioso: più la situazione peggiora,
più le persone tendono a ritenersi impotenti, dando impulso a quella loro passività
che rende i miglioramenti molto ardui. Da questa prospettiva, solo due eventi
potrebbero rompere questo fenomeno di feedback negativo: o un improvviso e
radicale peggioramento che esasperi la gente a tal punto da rendere l’inerzia
impossibile, o una generale e progressiva presa di coscienza che la sospinga a
comprendere che il cambiamento che essa vuole deve partire da se stessa.
M: Concordo, ma è più probabile che le persone si attivino solo una volta toccato il
fondo. Ritengo molto poco probabile la realizzazione di una "generale presa di
coscienza", poiché si tende sempre a pensare solamente al proprio tornaconto (o a
quello di un gruppo ristretto come la famiglia), cercando di tirare avanti rimandando
l'inevitabile. Si tende a rimanere il più stabili possibili finché è possibile. Il
cambiamento spaventa, e stanca. Per partecipare in massa ci deve essere un motivo
molto forte, altrimenti molto pochi si sentiranno spinti ad agire. Per partecipare senza
questo motivo ci vorrebbe un ribaltamento collettivo e subitaneo di mentalità. Certo,
tutto è possibile, ma in questo caso molto poco probabile, nonché difficile e lontano.
L: Mi vedo obbligato a darti ragione, ma vorrei aggiungere qualcosa. Credo che,
rovesciando il piano sul quale abbiamo finora discusso, sia possibile che un clima di
partecipazione nasca anche da una situazione sociale florida e fiorente: questa
potrebbe instillare nelle persone fiducia nel cambiamento, rendendole inclini a
parteciparvi. Devo riconoscere, tuttavia, che questa è un’idea utopica: nella situazione
attuale è molto più probabile uno dei due fenomeni di cui abbiamo appena parlato.
M: A questo punto l'unica linea d'azione che ci resta da seguire sarebbe cercare di
capire dov'è il fondo, e magari prepararci al tonfo, cercando forse di attenuarlo. Ma
quale sarà? La caduta dell'UE? Un'altra crisi economica come quella del 2008? Una
guerra con il medio-oriente? Una chiusura totale dovuta al sempre più grande
successo delle destre estreme? Quale sarà il fondo? Perlomeno ci sono tanti modi di
cadere.
L: Un’altra strada, però, potrebbe essere l’esempio: la gente, vedendo poche persone
industriarsi per il miglioramento della società, potrebbe comprendere che un
cambiamento che parta dal basso è possibile, e dunque decidere di attivarsi…
Sì, ritengo che la sensibilizzazione e l’esempio possano decisamente considerarsi
plausibili punti di partenza.
M: È possibile, ma sento troppo forte la spinta verso il proprio orticello. Certamente
poi è sempre meglio provarci il più possibile, perlomeno potremmo attutire l’urto. Poi
chissà, magari la crisi sarà scatenata da un catastrofico sconvolgimento del clima
dovuto al riscaldamento globale e avremmo ipotizzato per nulla.
Vedremo chi avrà ragione.
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