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Italia, La perla che stiamo smarrendo

Firenze. Patria dell'italianità e culla della secolare cultura del Belpaese e dell'intero continente europeo.

Siamo in un ristorante a pochi passi dal centro storico ed il menù riporta i nomi delle più pregiate pietanze toscane soltanto in inglese, alla pari delle indicazioni che tappezzano il locale. Allora un nostro amico si rivolge al cameriere per avere dei chiarimenti su un piatto e questo, in modo alquanto scorbutico, gli domanda se a scuola non si studi l'inglese. Quell'atmosfera da trattoria di Manchester a pochi passi da Santa Maria del Fiore, con delle altisonanze linguistiche piuttosto farsesche, ci è rimasta impressa e ci ha indotto ad una riflessione profonda e critica sul periodo storico e sul quadro socioculturale del nostro tempo. La conclusione a cui siamo giunti è ineludibilmente amara, poiché la realtà dei fatti è piuttosto eloquente: in media, il comportamento dell'italiano riguardo alla propria patria è quello di un cittadino distaccato e inconsapevole di quanto sia straordinariamente ricco il patrimonio della nostra penisola. Il gioiello ammirato e invidiato in tutto il mondo come inarrivabile paradigma di qualità e di storia uniche al mondo è oggi più che mai vittima di fragilità e di insanabile menefreghismo. Le chiese e i centri medievali su cui si fonda la civiltà e il pensiero di tutto il Vecchio Continente e che ci devono – e sottolineo, devono- rendere orgogliosi delle nostre origini, si sbriciolano e la risposta che diamo noi, qual è? Ce ne andiamo altrove, sulla scia di una nota tendenza esterofila che è connotato insito nella natura del nostro popolo. Negli ultimi 10 anni, gli emigrati italiani sono cresciuti del 49% rispetto al decennio precedente, alla volta principalmente di Germania e Regno Unito, lidi più appetibili da un punto di vista occupazionale ed economico.

Evitando l'annoso rischio di un'infruttuosa generalizzazione, c'è dunque da dire che alla base di questo costume vi è un acuto complesso di inferiorità verso altre nazionalità, europee e non, il quale si riflette appunto in questo esodo massiccio e nell'assenza di un diffuso spirito patriottico. L'appartenenza preferita dal giovane italiano sembra essere più al mondiale modello anglo-americano, e dunque ad una cultura massificante e superficiale che è quella del villaggio globale in cui viviamo, piuttosto che al profondo sistema di valori su cui si fonda la nostra identità. Chi saremmo noi oggi senza Dante, senza Machiavelli, senza Petrarca o Ariosto, senza Manzoni o Leopardi, senza Verga o Pirandello? Assai probabilmente un branco di pecorelle con il cervello in fotocopia e popolatrici dei centri commerciali alla disperata ricerca dell'ultima tendenza.

 

Se a questa complessità di fattori si aggiunge la motivazione del turismo, anch'esso sempre meno autentico e sempre più commerciale, il ritratto è completo. Il ritratto di un'Italia che ha poca autostima, che non crede in un potenziale che invece nel mondo copiano ed invidiano, meravigliosamente sconfinata nel proprio patrimonio artistico, linguistico, culturale, sociale, paesaggistico, culinario e quant'altro dir si voglia, un'Italia ricca ma che non sa come custodire questo tesoro. È vero, è anche un'Italia che incespica tra bassa efficienza della politica, criminalità, burocrazia soffocante per ambiziosi imprenditori, sentenze giudiziarie raccapriccianti, e ancora carovita, mafia, dissesti idrogeologici, terremoti e chi più ne ha più ne metta. Eppure, il cambiamento deve albergare negli animi della gente e deve partire da un convincimento radicato. Perché, per dirla con Kennedy: "Non pensare a ciò che l'America può fare per te, pensa piuttosto a ciò che tu puoi fare per l'America". A voi la scelta.


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